Ilaria Baldaccini e i capolavori di Monsieur Satie
di Gregorio Moppi per La Repubblica (Music box ‘Il contrappunto’, 30 luglio 2018)
Non aveva tutti i torti il poeta Contamine de Latour quando paragonava l’amico Erik Satie a «uno che conosca solo tredici lettere dell’alfabeto e che decida di creare una nuova letteratura impiegando solo quelle piuttosto che ammettere la propria inadeguatezza». Il fatto è che, quelle poche lettere, il compositore le combinava in maniera ingegnosa e perfino chi ne sapeva ben più di lui davanti ai suoi pezzi si inchinava. Scompigliò le leggi della musica, Satie, enigmatico straccione, con le sue nenie ipnotiche dai titoli stravaganti, prive di direzione, senza davvero un inizio e una fine, da ascoltare perdendosi nella loro spirale incantatoria. Potrebbero srotolarsi per l’eternità sempre uguali a sé, come sottofondo astrale di una quotidianità indolente. Del resto proprio Satie vagheggiava una musica ‘d’arredamento’ che accompagnasse l’individuo in ogni momento della giornata: una profezia avveratasi; e questa colonna sonora perpetua ce la troviamo al ristorante, in ascensore, nelle sale d’aspetto. Alcune sue pagine, la pianista toscana Ilaria Baldaccinile ha raccolte nel bouquet discografico ‘Monsieur Satie Capolavori’, etichetta Ema Vinci. Ci sono le tre Gymnopedies, le sei Gnossiennes e il valzer Je te veux. Tanti piccoli monili, ma in tutti – tranne che nel grazioso valzer, frutto di frivolezza Belle Époque – si rifrange un prototipo unico con impercettibili sfumature. Stessa sonorità. Stesso passo placido e ondulatorio. Stesso sortilegio atmosferico che ha la consistenza di un miraggio.