‘Le Gnossiennes sono eseguite lentissime, con pochissimi cambiamenti di colore, quasi una sorta di lago ghiacciato che ci porta, ci trascina dentro di sé’ 
Arturo Stalteri, RAI RADIO 3Primo Movimento, 1 febbraio 2018

‘Un bel disco di una pianista molto interessante, di grande talento, di grande entusiasmo, di grande bravura. Satie si può fare in tanti modi. Ilaria Baldaccini ha saputo interpretare le Gnossiennes e le Gymnopedies con grande rispetto per quello che era la linea, lo stile, il pensiero, la poetica di Satie, molto anomala, molto irrispettosa, ma allo stesso tempo di grandissima eleganza e delicatezza. È molto bella questa visione che ne dà Ilaria Baldaccini, ritmicamente un po’ sospirata, giocata sull’attesa, con questo effetto, tra virgolette, di silenzio – non silenzio, che è molto specifico della scrittura di Satie. Una lettura molto matura e sensibile, azzeccata sotto il profilo della ricerca timbrica e spirituale di queste composizioni.’ Satie aveva intuito la potenza del suono estatico, il giocare sull’ambiguità del suono. Una enigmaticità che Ilaria Baldaccini sottolinea molto bene nel suo modo di esprimersi e di esprimere questi suoni, perché regala colori tersi ma sottili, ambigui, complessi nella loro articolata semplicità.’
Anna Menichetti per Radio Svizzera Italiana, 26 aprile 2018

‘Questa incisione della Baldaccini su Gnossienne e Gymnopedie rifugge il rischio modaiolo di un Satie “facile”, prova a scavare nel compositore francese attraverso un’analisi interiore, ne esalta e dilata i silenzi come spazi depurativi, gli intimismi come problematiche esistenziali, la purezza del suono ripulito da tentazioni virtuosistiche come spazio pensante.’
Paolo Carradori, Alfadisco, 6 luglio 2018

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‘Tanti piccoli monili, ma in tutti – tranne che nel grazioso valzer, frutto di frivolezza Belle Époque – si rifrange un prototipo unico con impercettibili sfumature. Stessa sonorità. Stesso passo placido e ondulatorio. Stesso sortilegio atmosferico che ha la consistenza di un miraggio.’
Gregorio Moppi, La Repubblica, 30 luglio 2018

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6 Gnossiennes
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Je te veux, valse
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3 Gymnopedies
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Un giaccone di velluto che tiene caldo e occhialini per veder lontano

di Renzo Cresti

Portava un giaccone di velluto, occhialini sopra occhi piccoli e vivi, una barba ben tenuta, e regolarmente, alle quattro del pomeriggio, andava a bere un Pernod au comptoir (in piedi) al bar all’angolo della sua povera casa parigina detta Les quattre cheminées. Come riuscisse a campare rimane un mistero, in quanto guadagnava solo da poche lezioni occasionali, eppure la sua personalità era ammirata da tutti gli artisti, gli impressionisti, i simbolisti, i dadaisti, i surrealisti, gli aderenti al nuovo classicismo e al concettualismo, tendenze diverse fra loro e sviluppatesi in vari momenti, ma tutte, in qualche modo, attratte dall’originale figura di Satie. La sua musica fu di esempio all’inizio del cosiddetto Gruppo dei Sei e i compositori della École d’Arcueil ne fecero un nume tutelare. Malgrado queste attestazioni di stima Satie rimase un ‘caso’, come disse Alfred Cortot nel 1938, e continua a rimanere un caso tutt’oggi, a dispetto delle molte esaltazioni che ne hanno fatto i maestri del Novecento, da Stravinskij a Cage, fino alla New Age e all’Ambient music.

Nel silenzio di Satie

di Carmelo Mezzasalma

Il “caso” di Erik Satie (1866-1925), nella storia musicale del primo Novecento, sembrerebbe, a prima vista, un caso anomalo e quasi enigmatico. A cominciare dal suo modo di vivere e di “pensare” la musica, quasi al limite di uno sprezzante rifiuto di ogni convenzionalismo e di un tenace autodilettantismo che lo porterà a rifiutare qualsiasi studio sistematico e metodico della musica, ivi compresa la composizione, con maestri riconosciuti e di sicura capacità formativa. Una personalità scomoda, a tratti fastidiosa e forse distruttiva, ma indubbiamente sensibilissima e dotata della capacità di arricchirsi di ogni esperienza in campo letterario, musicale e perfino religioso. In ogni caso Satie non è un improvvisatore o un avventuriero della musica. La sua formazione letteraria era esclusiva e sincera (Andersen, Flaubert), come anche il suo appassionato studio sulle partiture di Bach, Schumann, Chopin, mentre il suo talento sarà riconosciuto da Ravel e Debussy al punto che, per sua stessa ammissione, influenzerà molto il linguaggio musicale di Pelléas et Mélisande.